Facebook è il social network più famoso ed utilizzato dove, ad oggi, conta più di 27 milioni di iscritti in Italia e 1,66 miliardi nel mondo.
Per le sue caratteristiche, consente la conoscibilità dei fatti pubblicati da parte di un numero indeterminato di utenti e, per questo, rappresenta un luogo dove può essere commesso il reato di diffamazione. Ed infatti i Giudici italiani, come vedremo nel prosieguo, da tempo riconoscono che il reato di diffamazione possa essere commesso online e nei vari social network, condannando il colpevole alle sanzioni penali e riconoscendo il risarcimento del danno economico in favore delle vittime.
Premessa: le caratteristiche del reato di diffamazione
In termini generali, l’offesa arrecata, per poter integrare la diffamazione, deve essere comunicata ad almeno due persone ed essere offensiva dell’altrui reputazione.
Il concetto di “reputazione” va inteso come l’onore e il decoro di una persona nell’opinione degli altri.
Costituisce offesa della reputazione anche l’attribuzione di un fatto non illecito, quando comunque questo sia ritenuto riprovevole dalla comunità, in base ai principi etici condivisi; così come la costituisce l’insulto alla professionalità, ai difetti fisici ecc.. Anche dire “ladro” ad una persona condannata per furto è diffamazione.
La diffamazione è un reato di evento che scatta nel momento in cui la frase viene percepita dai destinatari. Su Internet, questa conoscenza la si ha non quando l’offesa viene messa in rete, ma quando gli utenti si collegano e percepiscono l’ingiuria (Cass. Pen., V° Sez., n. 23624 del 27.04.2012).
Quando opera la diffamazione su facebook
La diffamazione su facebook scatta sia quando le parole offensive sono inserite negli spazi “pubblici” (ad es.: bacheca, aree destinate ai commenti o alle informazioni personali ecc.), sia quando la comunicazione avviene tramite messaggi privati indirizzati ad almeno due persone.
L’offesa però, per integrare il reato, deve presentare le seguenti caratteristiche:
essere riferita ad una persona ben individuata o individuabile con certezza (non sempre è necessario fare nome e cognome);
essere immessa in uno degli spazi virtuali aperti al pubblico o essere comunicata ad almeno due persone;
il diffamante deve avere la coscienza e la volontà di offendere l’altrui reputazione o onore (c.d. dolo).
Le pene
La pena che si applica a colui che diffama negli spazi pubblici è quella prevista dal comma III dell’articolo 595 del Codice Penale, ovvero:
– la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni
oppure, in alternativa
– la multa non inferiore ad € 516.
Quando invece sono utilizzati i messaggi privati la pena che si applica è quella della
– reclusione fino ad 1 anno
oppure, in alternativa
– la multa fino ad € 1.032.
Oltre a queste sanzioni, il Giudice penale condannerà poi il colpevole a pagare una somma di danaro in favore della vittima a titolo di risarcimento del danno morale.
Affinchè la condanna al risarcimento possa essere pronunciata nel processo penale è però necessario che la parte offesa si sia costituita parte civile nel processo.
In alternativa, il risarcimento del danno potrà sempre essere richiesto in sede civile, quando:
non sia stato liquidato in sede penale;
la parte offesa non si sia costituita parte civile;
non ci sia stato alcun processo penale a carico del diffamante. E’ quindi possibile iniziare anche solo un giudizio civile finalizzato all’ottenimento del risarcimento del danno, senza fare la denuncia penale.
Nel processo civile, per le richieste di risarcimento inferiori ad € 5.000 è sempre competente il Giudice di Pace e, qualora la somma richiesta sia inferiore ad € 1.100, la parte può stare in giudizio anche senza avvocato. Per le richieste superiori ad € 5.000 è invece competente il Tribunale.
In ambito civilistico la responsabilità è a titolo extracontrattuale e il danno è di tipo morale / non patrimoniale.
In concreto, l’importo del risarcimento del danno è deciso dal Giudice con una valutazione discrezionale, che verrà effettuata tenendo conto di tutte le circostanze del caso specifico (tipo di insulto postato, numero di persone che ha percepito l’offesa ecc.).
Una volta che si ritenga di aver subito una diffamazione su facebook, occorrerà sporgere querela entro tre mesi dal fatto: la querela va presentata alla Procura della Repubblica, ai Carabinieri o presso Polizia/Polizia Postale. Il termine di tre mesi decorre però da quando la vittima ha avuto notizia della diffamazione.
Spetta a colui che agisce in giudizio – e dunque alla vittima – il compito di provare il fatto, portando delle prove, come ad esempio l’immagine stampata con impresse le scritte diffamatorie, oppure / in aggiunta indicando dei testimoni che possano confermare i fatti. E’ opportuno che l’immagine stampata sia autenticata da un Notaio, in quanto i Giudici italiani non sempre attribuiscono attendibilità ad un semplice screenshot sul presupposto che lo stesso potrebbe essere soggetto a manipolazioni (sempre secondo i Giudici).
Se per qualsiasi motivo non riesci a raccogliere le prove puoi contattarci e richiederci di raccogliere tutte le prove necessarie presenti in rete: con l’aiuto dei nostri collaboratori in pochi minuti sapremo come trovarle, “cristallizzarle” e certificarle per la successiva produzione ed utilizzazione all’interno del processo.
Se invece non si riesce a provare le offese non si otterrà nulla.
Ancora sulla diffamazione su facebook
Gli unici responsabili delle contumelie postate su facebook sono i soggetti che hanno scritto le frasi, e non anche la società proprietaria di facebook, pur essendo quest’ultima l’effettiva proprietaria di tutti i contenuti.
Se, all’interno di una discussione pubblica, un utente ha scritto delle frasi di critica con modalità diffamatorie verso la vittima, non risponderà del reato quell’altro utente che si sia limitato ad esprimere una critica senza condividere le forme illecite espresse dal primo (Cass. Pen. n. 3981/2015).
E’ da ritenersi inoltre che non commetta alcun reato il soggetto che si sia limitato a mettere un “like” su di una frase diffamatoria scritta da altri.
Il proprietario del profilo nel quale o dal quale è stata scritta la contumelia è indubbiamente il colpevole, a meno che non dimostri che si è verificato un ingresso abusivo da parte di terze persone oppure un furto di identità. Se non riesce a fornire queste prove egli ne risponde, essendo inverosimile che altri abbiano scritto al suo posto. Nel caso in cui vi sia stato realmente un furto di identità, si dovrà effettuare una denuncia formale alla polizia postale.
Così si esprime letteralmente la giurisprudenza sul tema: “Non può essere accolta la tesi della difesa che ha configurato una ipotetica appropriazione del nome dell’imputato da parte di estranei per aprire un finto profilo facebook in quanto se così fosse incomberebbe sull’imputato, una volta messo a conoscenza dei fatti, l’onere di disconoscere la paternità delle frasi nonchè dell’intero profilo facebook, denunciando altresì l’accaduto”.
La verità del fatto non conta
La persona che scrive una frase diffamatoria viene punita sempre, pure laddove l’offesa abbia ad oggetto un fatto vero o noto (art. 596 Cod. Pen.). Ad esempio, definire come “prostituta” una donna costituisce sempre diffamazione, pure se quella eserciti realmente “il mestiere più antico”.
A questo principio la legge apporta tuttavia le seguenti eccezioni:
l’offeso e l’offensore concordano nel deferire ad un giurì d’onore l’accertamento del fatto e questo sia poi accertato come vero;
il fatto attribuito ad un pubblico ufficiale sia relativo all’esercizio delle sue funzioni;
per il fatto attribuito si incomincia un processo penale che si conclude con la prova della verità di esso o con la condanna del diffamato;
il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda all’accertamento della verità o falsità del fatto, e questo venga effettivamente riconosciuto o per esso la persona venga condannata.
Al di là di queste eccezioni, la diffamazione scatta sempre. Le eccezioni possono comunque operare a condizione che il fatto risulti provato nel suo complesso, e non solo in parte.
Quando non sussiste la diffamazione su facebook
L’immissione via Internet del contenuto di una denunzia presentata nei confronti di una società e relativa a scarico di cancerogeni nelle acque di un lago costituisce manifestazione del diritto di cronaca ed anche di critica che spetta, ex art. 21 Cost., ad ogni cittadino e non solo ai giornalisti (Cass. Pen., V° Sez., n. 31392 addì 1.07.2008).
Non sussiste la responsabilità del titolare di Internet point laddove un utente abbia inviato da uno dei computer una email con contenuti diffamatori (Cass. Pen., n. 6046 addì 11.11.2008).
La competenza
Per le diffamazioni proferite in rete o in un sito è competente il Giudice del domicilio dell’imputato (ex art. 9 c.p.p. II° co. – Cass. Pen., n. 2739/2010) e, nella forma “aggravata” – perchè l’insulto è stato postato negli spazi pubblici -, la competenza è del Giudice monocratico e non del Giudice di Pace.
Il luogo in cui è commesso il fatto va quindi individuato dove il soggetto è in grado, tramite un hardware, di collegarsi alla rete (Cass. Pen. n. 31677/2015).
Qualora il sito web nel quale sia allocata la diffamazione sia registrato all’estero, la competenza spetta ugualmente al Giudice italiano quando l’offesa sia stata recepita da più fruitori in Italia (Cass. Pen., n. 4741/2000).
Il reato si consuma quando al frase è inserita in rete tuttavia come già detto il termine di tre mesi entro cui l’offeso deve sporgere querela decorre da quando egli è venuto a conoscenza dell’immissione in rete delle frasi illecite.