Il reato di esercizio abusivo della professione è previsto dall’articolo 348 del Codice Penale. Così dispone letteralmente : “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale autorizzazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa da euro 103 a euro 516”.
Il bene giuridico tutelato dalla disposizione in esame è l’interesse dei cittadini a che chi esercita determinate professioni sia in possesso delle relative capacità.
Il reato è posto a salvaguardia delle c.d. professioni protette, per l’esercizio delle quali serva una abilitazione rilasciata dallo Stato e l’iscrizione in un particolare albo professionale.
Quando la condotta è abusiva
E’ abusiva, e dunque punita, la condotta di chi compie un atto che sia riservato in via esclusiva ad una categoria professionale, senza essere stato abilitato all’esercizio di questa, o perché non ha mai ottenuto il titolo, o perché è stato radiato dall’albo, o perché non fa più parte di quest’ultimo. E’ abusivo anche chi compie gli atti della professione mentre è stato sospeso. Allo stesso modo è abusivo e dunque punito il soggetto che, pur essendo iscritto in un albo, non possa compiere la professione se ciò gli sia vietato dal particolare ruolo, “status”, o posizione che ricopre; per esempio, per chi svolge certe professioni nel pubblico impiego è previsto il divieto assoluto di svolgere attività professionali private.
E’ reato pure se l’atto possa essere compiuto dagli iscritti di più professioni, se il soggetto che lo compie non sia autorizzato allo svolgimento di nessuna di esse.
Sono comunque tutelati solo quegli atti che siano propri ed esclusivi di una professione, e non anche quegli atti che possano essere compiuti da chiunque. Ad esempio, non è punito ex articolo 348 Cod. Pen. il laureato in giurisprudenza che compia, in favore di terzi, un atto che può essere compiuto da qualsiasi privato, come ad esempio la formazione di un contratto, o che rediga un parere legale in favore di un cliente. Anche il fornire una consulenza “stragiudiziale” non costituisce reato.
E’ quindi punita la commissione di un atto proprio riservato ad una professione, e non anche la realizzazione di un atto che, seppur connesso ad una professione, possa essere compiuto da qualsiasi soggetto.
Secondo una parte della Giurisprudenza, al fine dell’integrazione del reato di esercizio abusivo della professione è necessario che l’agente svolga l’attività in modo continuativo ed organizzato (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 26829 del 29.07.2006; Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 7564 del 2.03.2006). Si è per esempio esclusa la punibilità di un soggetto che si era limitato a vendere un singolo prodotto farmaceutico (Cass. Pen., n. 7564/2006).
Secondo altro orientamento della Giurisprudenza, invece, è punibile il compimento anche di un solo atto tipico della professione (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 42790 del 2007; Cass. Pen., 4.04.1940; Cass. Pen., n. 3732 del 15.03.1980).
Nel caso in cui un soggetto sia in possesso della abilitazione, ma questa gli consenta lo svolgimento della professione limitatamente ad un dato territorio, se lo stesso svolga la professione in altro territorio il reato ex articolo 348 Cod. Pen. non si integra, e dunque il soggetto non verrà punito. Gli si potranno tuttavia applicare delle sanzioni disciplinari da parte dell’ordine di appartenenza se previste (Cass. Pen., n. 5752/1983).
Ai fini della punibilità ex articolo 348 Cod. Pen. non importa che il soggetto che esercita abusivamente la professione si faccia retribuire o meno, e per cui commetterà il reato pure il soggetto che svolgeva l’attività in modo gratuito, pur se il cliente sapeva che egli era “abusivo” (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 2286 del 29.11.1983-16.03.1984).
Altre caratteristiche del delitto ex articolo 348 Cod. Pen.
Il dolo del delitto di esercizio abusivo della professione è “generico”. Il “tentativo” è ammesso. La pena, come visto, è quella della reclusione fino a 6 mesi, oppure, in alternativa, quella della multa da euro 103 ad euro 516. Il condannato può ottenere l’applicazione delle “pene sostitutive”. La procedibilità è d’ufficio.
Le norme di settore integratrici della norma ex articolo 348 Cod. Pen.; la eventuale non conoscenza delle prime da parte dell’agente
L’articolo 348 del Codice Penale consente l’emanazione di altre norme di legge settoriali che possano prevedere dei vincoli per l’esercizio di determinate professioni, quali l’ottenimento di una abilitazione e l’iscrizione in appositi albi. La violazione di tali ultime norme determina la violazione dell’articolo 348 Cod. Pen. (che le consente).
Per una parte della Giurisprudenza, l’errore su tali norme settoriali ed integratrici, o l’ignoranza circa la loro esistenza, non esclude la punibilità del trasgressore (Cassazione Penale, III° Sezione, n. 2546 del 30.12.1966; Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 47028/2009). Secondo tale orientamento, quindi, l’ignoranza non esclude il dolo.
Per altro orientamento della Giurisprudenza, per contro, l’ignoranza sulle norme di cui agli albi e sui relativi regolamenti di settore può “scusare”, e dunque comportare la non punibilità del soggetto (Cass. Pen., 11.03.1955; Cass. Pen., n. 10732 del 3.12.1984). Ad esempio, nella Sentenza addì 23.10.1985 la Corte di Cassazione ha escluso la punibilità di alcuni medici che, sulla base di una prassi diffusa, avevano compiuto atti di competenza esclusiva della categoria del chimico analista.
Il concorso nel delitto di esercizio abusivo della professione
La Giurisprudenza afferma che il professionista che consenta o agevoli l’attività professionale di soggetto non abilitato, risponde del medesimo reato a titolo di concorso con il soggetto abusivo (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 9566 del 20.03.1973).
In tema di responsabilità civile dell’abusivo
Per aversi la condanna in sede civile del soggetto che ha svolto in modo abusivo la professione, non è sufficiente che lo stesso abbia subito una condanna ex articolo 348 Cod. Pen. : è invece necessario che si dimostri che tale attività illecita abbia prodotto un danno e che quest’ultimo sia conseguenza diretta della condotta illecita. L’onere probatorio della dimostrazione del danno deve essere fornito da chi in sede civile richiede il risarcimento, e non da parte dell’abusivo (Cassazione Penale, n. 6429 del 4.12.1981).
La Giurisprudenza in tema di costituzione di parte civile contro l’abusivo da parte degli ordini professionali
Sul tema dell’eventuale costituzione di parte civile da parte degli ordini professionali avverso il soggetto abusivo, la Giurisprudenza è divisa.
Per una parte, tale costituzione non sarebbe ammessa se in capo all’ordine di riferimento non sia derivato un danno diretto e specifico (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 10593 del 24.11.1981; Cassazione Penale, 12.10.2000; Cassazione Penale, 7.05.1986).
Per contro, per altro orientamento, la relativa costituzione di parte civile sarebbe sempre consentita (Corte di Appello di Trento, 18.12.1985; Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 17203 del 4.05.2007).
La Giurisprudenza in tema di esercizio abusivo della professione
Questa è la posizione della Giurisprudenza in tema di esercizio abusivo della professione :
• è punito ex articolo 348 Cod. Pen., per esercizio abusivo della professione di avvocato, l’avvocato che abbia superato l’esame statale di abilitazione alla professione ma non sia ancora iscritto all’albo (o non sia più iscritto), a prescindere dai motivi per i quali non sia iscritto (Cassazione Penale, n. 19658/2004; Cassazione Penale, n. 27440/2011);
• è punito ex articolo 348 Cod. Pen. chi, pur essendo iscritto in un albo, compia un atto tipico della professione in un momento in cui sia sospeso da detto albo (Cassazione Penale, n. 20439/2007);
• l’attività di consulenza legale può essere espletata (anche su carta intestata ad uno studio legale) anche da parte di soggetti non iscritti all’Albo degli Avvocati (Cassazione Penale, n. 17921/2003);
• non costituisce abusivo esercizio della professione di avvocato la trattazione di pratiche di infortunio finalizzata al raggiungimento di una transazione, anche se siffatta trattazione sia svolta su delega del cliente (Cassazione Penale, 11.03.1964);
• integra l’illecito ex articolo 348 Cod. Pen. il fatto di chi presti assistenza in un procedimento di vendita all’asta e partecipi alle relative udienze (Cassazione Penale, n. 10371/1981);
• la depilazione con ago appuntito costituisce una semplice attività di cosmetica che non integra il reato ex articolo 348 Cod. Pen. (Cassazione Penale, n. 900/1968);
• il massaggio effettuato a scopo curativo da parte di colui che non sia abilitato integra il reato di esercizio abusivo della professione (Cassazione Penale, 14.01.1970);
• l’odontoiatra che ha ottenuto il titolo presso altro Stato dell’Unione, può esercitare in Italia senza incorrere nel reato ex 348 solo a patto che abbia presentato domanda al Ministero della Sanità e questo, dopo aver controllato la regolarità del titolo e della documentazione, l’abbia trasmesso all’ordine per l’iscrizione (Cassazione Penale, n. 47532/2013);
• il soggetto che si presenti ai clienti come avvocato incorre nel reato ex articolo 348 Cod. Pen. (Cassazione Penale, n. 646/2013);
I casi sono quindi numerosi.