Il socio di una società di capitali che ha assunto di fatto l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione non è considerato lavoratore subordinato.
Lo ha affermato la Cassazione, precisando che è già astrattamente possibile che un socio di una società di capitali ne sia anche un dipendente. (Cass. 17 novembre 2004, n. 21759, in Mass. giur. lav., 2005, 62). La Suprema Corte in una pronuncia successiva ha, inoltre, rigettato il ricorso di un socio che lamentava il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro. (20 aprile 2012, n. 6212).
La Cassazione ha rilevato che il socio non era assoggettato all’ altrui eterodirezione e che all’ esterno non era considerato come dipendente , ma come il capo, il proprietario della società. Ha escluso, inoltre, la sussistenza di un rapporto di lavoro tra società e socio anche a causa della mancanza di un accordo negoziale tra le parti a monte dell’ attività svolta dal socio. (Cass. n. 6212/2012 cit.).
La frequentazione della società da parte del socio non necessariamente coincide con lo svolgimento di un lavoro subordinato, essendo piuttosto ravvisabile una sorta di “auto investitura”, ossia una ingerenza nell’amministrazione della società da parte del socio.
Sono vari i titoli in virtù dei quali il socio può gestire concretamente la società: esistenza di un rapporto di lavoro dirigenziale, figura di socio occulto, figura dell’ amministratore di fatto. Spetterà al giudice di merito individuare nel caso concreto quale tra queste figure è ravvisabile.