Nel lessico del diritto del lavoro italiano la “modifica dell’orario” rientra nello ius variandi, cioè nel potere datoriale di incidere su taluni elementi della prestazione ‑ luogo, tempo e modalità ‑ senza alterarne la natura essenziale. L’articolo 1 del D.Lgs. 66/2003 definisce l’orario di lavoro come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni». Di conseguenza ogni mutamento nella collocazione temporale della prestazione ricade sotto questo potere, ma incontra confini ben precisi dettati dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dai principi di correttezza e buona fede (art. 1375 c.c.). La presente guida esamina tali limiti, le prerogative del datore, le tutele del dipendente e le modalità di risoluzione delle controversie connesse al cambio di orario.
Indice
- 1 Base legale e cornice contrattuale
- 2 Poteri del datore di lavoro
- 3 Diritti e tutele dei dipendenti
- 4 Consenso, informazione e consultazione
- 5 Procedura e documentazione
- 6 Implicazioni retributive e organizzative
- 7 Situazioni particolari e richieste del lavoratore
- 8 Risoluzione delle controversie
- 9 Conclusione
Base legale e cornice contrattuale
Il potere di variazione trae origine dal contratto individuale e dalla disciplina collettiva di settore, ma deve conformarsi al dettato costituzionale dell’articolo 36, che esige un trattamento economico e normativo proporzionato e sufficiente. Il D.Lgs. 66/2003 fissa inoltre la durata massima settimanale (di regola 40 ore, salvo diversa previsione dei CCNL) e i riposi minimi: 11 ore consecutive nelle 24 ore e 24 ore ogni sei giorni lavorativi, da cumulare, di norma, con le 11 ore di riposo giornaliero. Qualunque rimodulazione dell’orario deve rispettare tali soglie, altrimenti sconfina nell’illecito amministrativo o, se incide sulla salute e sicurezza, anche nel penale.
Poteri del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, con ordinanza 31349/2021, ha ribadito che il datore può modificare la mera collocazione temporale della prestazione, purché resti entro i limiti legali e contrattuali di durata e agisca senza intenti discriminatori o vessatori. Nei rapporti a tempo pieno l’accordo del lavoratore non è necessario: il datore deve soltanto fondare la scelta su esigenze organizzative concrete, comunicandola con congruo preavviso. Diverso il regime del part‑time: la distribuzione delle ore è elemento essenziale del contratto (art. 6 D.Lgs. 81/2015). Modificarla esige il consenso espresso del dipendente, salvo siano state pattuite clausole elastiche che attribuiscano al datore il potere di variare turni o quantità di ore entro limiti e con preavviso minimo stabiliti dall’accordo scritto.
Diritti e tutele dei dipendenti
Il lavoratore ha diritto a un orario certo, funzionale alla pianificazione della vita privata, nonché al pieno rispetto dei riposi giornalieri e settimanali. I contratti collettivi definiscono tipicamente fasce di flessibilità, maggiorazioni e indennità per lavoro notturno o turnazioni gravose. Se la variazione d’orario non risponde a comprovate esigenze aziendali o viola tali previsioni, il dipendente può rivolgersi al giudice per farne dichiarare l’illegittimità e ottenere il ripristino dell’orario originario oltre al risarcimento dei danni patrimoniali (spese di trasporto, cura dei figli, ecc.) e, se del caso, non patrimoniali.
Consenso, informazione e consultazione
Sul piano formale, la modifica deve essere comunicata con chiarezza. Nei rapporti full‑time la legge non impone un termine fisso di preavviso, ma la buona fede esige un anticipo sufficiente a consentire l’organizzazione personale del dipendente. Nei part‑time, in mancanza di clausole elastiche, occorre un accordo scritto che descriva puntualmente la nuova articolazione e, qualora la variazione implichi un aumento stabile delle ore, preveda la relativa maggiorazione di retribuzione. Se l’impresa omette la consultazione laddove prevista dal contratto collettivo o dalla prassi aziendale, incorre in condotta antisindacale (art. 28 Statuto dei lavoratori).
Procedura e documentazione
Le parti possono formalizzare la variazione in una scrittura privata che riporti: dati anagrafici delle parti, tipologia contrattuale, nuova articolazione oraria, data di decorrenza, eventuale termine finale, flessibilità pattuite, riferimento ai CCNL applicati, clausole su preavviso e indennità, firma di datore e lavoratore. Tale atto, allegato al contratto originario, garantisce certezza giuridica e facilita la prova in caso di lite. In alternativa, aziende strutturate emanano ordini di servizio interni; resta comunque consigliabile la ricevuta per accettazione.
Implicazioni retributive e organizzative
Al mutare dell’orario cambiano le indennità collegate alla turnazione o al lavoro notturno, nonché le pause riconosciute per la refezione. Alcuni CCNL prevedono compensi specifici, talora forfettari, per il cambio turno o per la flessibilità richiesta con scarso preavviso. L’azienda deve adeguare i sistemi di rilevazione presenze e i cedolini, evitando di erodere i riposi minimi e di superare le soglie di straordinario consentite annualmente salvo accordo collettivo.
Situazioni particolari e richieste del lavoratore
Esigenze personali – cura dei figli minori, assistenza a familiari disabili, percorsi di studio – possono indurre il dipendente a chiedere una diversa collocazione oraria. Non esiste un diritto assoluto al cambio, ma la legislazione su genitorialità e disabilità (art. 53 D.Lgs. 151/2001; L. 104/1992) impone al datore un dovere di valutazione comparata, respingendo la domanda solo per comprovate ragioni organizzative. Molti CCNL incentivano soluzioni come banca delle ore, flessibilità in entrata‑uscita, smart working.
Risoluzione delle controversie
Quando la modifica genera conflitto, la via preferibile è la conciliazione, prevista sia in sede sindacale sia presso gli Ispettorati territoriali del lavoro. La procedura è rapida, gratuita e consente accordi personalizzati. Se l’intesa fallisce, resta percorribile l’arbitrato irrituale o, da ultimo, il ricorso al Tribunale del lavoro. L’onere di dimostrare la legittimità della variazione grava sul datore: dovrà produrre dati su fabbisogni produttivi, organigrammi, cronoprogrammi di cantieri o ordini di servizio che attestino la necessità del nuovo assetto orario.
Conclusione
La modifica dell’orario di lavoro è uno strumento gestionale necessario per far fronte alle mutevoli esigenze produttive, ma deve bilanciarsi con la tutela dei diritti del lavoratore. Il datore può esercitare il proprio ius variandi solo entro i limiti fissati dalla legge, dal contratto collettivo e dai principi di buona fede. Il dipendente, dal canto suo, deve essere correttamente informato e può contestare in giudizio variazioni arbitrarie o discriminatorie. Un dialogo trasparente, fondato su dati organizzativi attendibili e formalizzato in accordi scritti, rappresenta la via maestra per prevenire contenziosi e garantire un equilibrio duraturo tra flessibilità aziendale e qualità della quotidianità lavorativa.