Con la sentenza 22 dicembre 2015, n.25796, la Corte di Cassazione chiarisce che il pegno con clausola di
c.d. rotatività è lecito purché le parti sottoscrivano un accordo scritto in cui venga espressa la volontà di assoggettare a garanzia una certa quantità di beni mobili e la rotatività lasci invariato il valore economico dei titoli corrispondente alla capienza della garanzia prestata.
Il pegno rotativo viene definito come il contratto caratterizzato dal patto di rotatività, con il quale le parti convengono la variabilità dell’oggetto del pegno secondo modalità concordate ab initio e con continuità della garanzia, nonostante il variare dei beni che ne costituiscono l’oggetto, la cui sostituzione non fa venire meno, quindi, l’identità del rapporto giuridico. Tale tipo di contratto, dopo l’iniziale diffidenza da parte della dottrina e della giurisprudenza, è stato reputato lecito ex art. 1322 c.c. sin dalla sentenza della Corte di Cassazione 28 maggio 1998, n. 5264.
La ragione pratica della sua introduzione deriva dalla prassi bancaria allo scopo di risolvere problemi specialmente con riferimento al pegno di titoli di credito. La staticità del pegno, infatti, mal si concilia con ogni ragione economica, richiedendo la necessità di ammettere una forma di garanzia che, da un lato, consenta la sostituibilità e mutabilità nel tempo dell’oggetto del vincolo e, dall’altro, non comporti ad ogni cambiamento la rinnovazione delle modalità richieste per la costituzione del diritto e per il sorgere della prelazione.
Il requisito fondamentale per sostenere l’ammissibilità dell’istituto nel nostro ordinamento, come già affermato dalla Corte nel 1998, è che la previsione delle future ed eventuali sostituzioni dei singoli beni avvengano entro il valore dei beni originariamente costituiti in pegno. In tal modo si da rilievo ai beni non nella loro specifica identità, ma il relazione al loro valore economico. Ulteriore requisito richiesto è dato dalla presenza di una scrittura avente data certa che accompagni la consegna e contenga una sufficiente indicazione della cosa e del credito. Tali presupposti sono stati precisati dalla giurisprudenza successiva ed, in particolare, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2787, 3 comma, c.c., si è ritenuto vadano valutati con riferimento all’atto di costituzione del pegno e non ai successivi atti, pure scritti, i quali ne rappresentano un mero rinnovo, attraverso la sostituzione del titolo originariamente costituito in garanzia e nel frattempo venuto a scadenza.
Nella sentenza in commento le parti si chiedono se, in presenza nel contratto di pegno della clausola di c.d. rotatività, la garanzia permanga qualora la banca abbia venduto i titoli alla scadenza, depositando il controvalore su conto corrente del cliente e, dietro autorizzazione di questi espressamente riferita al conto deposito in garanzia ed al beneficiario della stessa, acquistato nuovi titoli immessi in pegno nel suddetto deposito.
Applicando i principi consolidati in tema di pegno rotativo la Cassazione giunge ad una risposta affermativa.
Infatti, afferma la Corte che, ai fini dell’avvicendamento dei beni nel patrimonio del garante, la verifica dei requisiti previsti dall’art. 2786 c.c. non va operata dal giudice del merito anche con riguardo ai successivi atti di trasferimento del vincolo: la consegna del bene sostitutivo, con il conseguente effetto traslativo del diritto reale su di esso, si configura come elemento di una fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall’accordo stipulato con il patto di rotatività, nella quale la volontà delle parti è perfetta già al momento dell’accordo (se sussiste certezza della data e sono determinati il credito da garantire e la cosa da offrire in garanzia) e l’eventuale sostituzione dei beni oggetto della garanzia si pone come un elemento meramente materiale.
L’essenza del patto di rotatività consiste, appunto, in una fattispecie progressiva, nella sostituzione dell’oggetto del pegno senza necessità di ulteriori pattuizioni e, quindi, nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno.
Per i giudici, dunque, il trasferimento del vincolo pignoratizio su altri titoli, acquistati in sostituzione dei primi in virtù della clausola c.d. rotativa pattuita, non richiedeva che l’indicazione di tali nuovi titoli fosse espressa in un atto scritto avente data certa. Ciò che occorre è che la sostituzione dei beni sia accompagnata dalla specifica indicazione dei beni sostituiti e dal riferimento all’accordo originario, consentendo tali indicazioni di operare il collegamento con l’originaria pattuizione ed eliminare ogni incertezza in ordine al riferimento dei nuovi beni alla pattuizione originaria.
Proprio tale collegamento permette che il vincolo pignoratizio non trovi titolo in una nuova e diversa volontà delle parti, ma nel patto originariamente concluso.