L’Adunanza Plenaria 13/2016 (a-p-13-del-2016) rompe l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato ed afferma che i concessionari di servizio pubblico – nel caso di specie Poste Italiane s.p.a. – sono assoggettati al diritto di accesso di cui alla l. 241/1990 in relazione ai soli documenti inerenti le attività aventi rilievo pubblicistico. Rimangono dunque esclusi gli atti relativi al mero rapporto – privatistico – di lavoro, anche se strumentali al servizio fornito.
A parere delle Sezioni Unite la decisione è influenzata da recenti interventi normativi, attraverso i quali si è provveduto a delimitare gli obblighi di trasparenza cui sono tenuti i soggetti esercenti una pubblica funzione. Il Collegio, in particolare, si sofferma sulla modifica dell’art. 22, comma 1, lettera e) della legge n. 241 – nel testo introdotto dall’art. 15, comma 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 – nel quale si descrive la pubblica amministrazione come ente composto da “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
Nell’ordinanza di rimessione da una parte si sottolinea come negli anni il giudice amministrativo abbia costantemente riconosciuto il diritto di accesso generalizzato agli atti dei soggetti privati esercenti funzioni di interesse pubblico. Dall’altra, tuttavia, si suggerisce la rivisitazione di tale indirizzo in base ad una serie di argomentazioni.
Si prospetta, in particolare, la necessità di distinguere in via preliminare tra diritto di accesso agli atti effettuato dagli utenti del servizio pubblico offerto dal concessionario, e diritto di accesso operato, invece, da coloro che sono legati al concessionario da un rapporto giuridico privatistico. A tal proposito, difatti, la Plenaria osserva che “Nell’ordinanza di remissione non si pone in dubbio la legittimazione passiva di detta società, come concessionaria ex lege di un pubblico servizio, nei confronti degli utenti del servizio stesso, ma si postula che non abbiano titolo al riguardo i lavoratori dipendenti, quali soggetti privati in rapporto ai quali il datore di lavoro (a sua volta privato) ponga in essere atti non riconducibili al servizio pubblico ed estranei, pertanto, alla “ratio” di trasparenza…”.
Per comprendere i termini della questione è bene inquadrare la natura giuridica di Poste Italiane.
Trattasi di società costituita nella forma di società per azioni subentrata alle preesistenti amministrazioni centrali, concessionaria del servizio pubblico postale universale, e le cui partecipazioni sono detenute per ben il 60% dal Ministero dell’Economia; quest’ultimo possiede altresì poteri in punto di nomina degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo (di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico).
Poste Italiane s.p.a. è, secondo la giurisprudenza costante, un organismo di diritto pubblico – in quanto dotato di personalità giuridica – istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, e la cui attività goda in misura maggioritaria di finanziamenti pubblici ovvero la cui gestione è sottoposta al controllo dei soggetti parimenti pubblici.
Il Collegio afferma che “la qualificazione di Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico è dunque un fattore che rende pacifica l’estensione a detta società delle norme in tema di accesso”; il vero problema sta nel fatto che “non chiarisce i limiti, entro cui l’attività societaria debba ritenersi di <>”, ovvero se essa trovi applicazioni anche in relazione ai rapporti giuridici di diritto privato.
A tal proposito l’Adunanza Plenaria non ha dubbi sul fatto che il rapporto di lavoro dei dipendenti di Poste Italiane implichi lo svolgimento di un’attività strettamente connessa e strumentale alla quotidiana attività di gestione del servizio pubblico.
E non vi sono dubbi che i dipendenti della società, incaricata di tale servizio possano vantare un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento a cui si chiede l’accesso”, come dispone l’art. 22 l. 241/1990, o che trattare diversamente lavoratori e utenti configuri una disparità di trattamento.
Ciò nonostante il massimo organo della giustizia amministrativa intende valorizzare la recente riforma legislativa nella parte in cui assoggetta i privati alla normativa sull’accesso solamente in relazione all’attività di pubblico interesse. In quest’ottica, analizzando anche altri recenti interventi da parte del Legislatore, osserva come gli enti erogatori di trasporto o servizi postali, in quanto titolari di diritti speciali ed esclusivi, “agiscono nell’ambito dei settori sopra indicati, ma svolgono anche attività in pieno regime di concorrenza, direttamente esposti alle regole del mercato e possono, per tale ragione, vedere in qualche misura attenuata la disciplina propria delle amministrazioni pubbliche”.
Tale attenuazione è tale da sottrarre il rapporto di lavoro dall’osservanza degli obblighi di trasparenza di cui agli articoli 11, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013 (ambito soggettivo degli obblighi di trasparenza), 1, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 (ordinamento del lavoro alla dipendenza delle amministrazioni pubbliche) e 1, comma 16 della già ricordata legge delega n. 190 del 2012.
In sostanza, quando il documento di cui si chiede l’ostensione concerne la fase di gestione ordinaria del personale non vi è una diretta rilevanza pubblicistica delle attività svolte e dunque il concessionario di pubblico servizio non è tenuto a riconoscere il diritto di accesso, salvo che l’istanza riguardi prove selettive per l’assunzione del personale, progressioni in carriera o provvedimenti attinenti l’auto-organizzazione degli uffici.
In virtù di tali argomentazioni vengono enunciati i seguenti principi di diritto:
la società Poste Italiane s.p.a. è soggetta alla disciplina, di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, con riferimento al pubblico servizio di cui è affidataria;
il diritto di accesso è esercitabile dai dipendenti della medesima società, limitatamente alle prove selettive di accesso, alla progressione in carriera ed ai provvedimenti di auto-organizzazione generale degli uffici, incidenti in modo diretto sulla disciplina, di rilevanza pubblicistica, del rapporto di lavoro.
Molto interessante.